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Dichiarazione di Andrea Riccardi

Alla data della dichiarazione:  Ministro  Cooperazione internazionale e integrazione


 

Giornata internazionale contro il razzismo. Un patto tra politica e società per contrastare le discriminazioni

  • (23 marzo 2012) - fonte: Ministero per la Cooperazione internazionale e l'Integrazione, convivenza, cultura - inserita il 23 marzo 2012 da 22161
    Non è, quella di oggi, una ricorrenza vuota. Non lo è per me personalmente, non lo è per questo Governo né può esserlo per l'intera comunità nazionale italiana. La società italiana è percorsa da pulsioni anche violente, manifestazioni di un razzismo strisciante o esibito che talvolta alimentano circuiti di intolleranza e di pregiudizio e giungono fino all'omicidio, come a Firenze. L'acutizzarsi della crisi economica certo non giova, così come l'atomizzazione degli individui, lo spaesamento di tanti, ma soprattutto l'insufficienza di un investimento culturale di largo respiro e la preoccupante facilità con cui toni xenofobi si sono fatti largo fin tra imass mediae le istituzioni. L'ho dichiarato più volte: anche le parole contano. La nostra è anche una crisi di identità. La gente, le famiglie, ognuno di noi subisce la sfida lanciata da un tempo più complesso, da un mondo meno comprensibile. E la subisce ritrovandosi più solo, meno legato agli altri. In un tempo in cui si è più soli si è più facilmente irritati e alla ricerca di nuovi e vecchi capri espiatori. Spesso l'uomo odierno è - secondo la felice intuizione di Todorov - un uomo spaesato, soprattutto davanti al future. Se gli adulti sono spaesati, tanto più i giovani. Giovani come Cristiano, il protagonista del romanzo "Come Dio comanda" di Ammaniti: figli del niente, a cui il padre ordina: "Va', ammazza il cane del vicino, perché fa rumore!". Per questo assumono a volte un "cuore nero". Essi cercano un cuore ma chi li aiuta oggi a trovarlo? Pensieri e comportamenti razzisti divengono quasi un modo per trovarsi un proprio spazio, per contare. Sento una grande preoccupazione di fronte a questo mondo di spaesati: il paese che finiscono per costruire non è quello dove la stragrande maggioranza degli italiani desidererebbe vivere: un paese violento e ingiusto. Ho ancora vivi nella memoria i gravissimi episodi del dicembre scorso a Torino e a Firenze. Ho visto con i miei occhi l'abisso di dolore cui la predicazione dell'odio, l'assuefazione ai luoghi comuni dell'intolleranza, l'impazzimento individuale o collettivo, possono condurre. Ho ascoltato con le mie orecchie le voci di chi chiedeva sicurezza, giustizia, possibilità di una vita pacifica per sé e per i propri cari. Ho in questi giorni il cuore colmo di dolore per il barbaro attentato di Tolosa. Una scuola, la vita di bambini innocenti, violati da un folle disegno di fondamentalismo della razza, del sangue, stroncati da chi ha visto nella morte dell'altro il trionfo di un sogno disumano di affermazione di sé, della propria presunta realtà etnica, o nazionale.I tristi fatti di Torino contro la comunità Rom così come l'efferato assassinio di due senegalesi a Firenze sono un campanello d'allarme: non possiamo sottovalutali come cronaca che passa. Rappresentano un attentato alla tenuta stessa del nostro Paese e ai valori fondanti della nostra civiltà. Dimostrano come la crisi italiana non sia solo economica ma molto più profonda. Del resto l'UNAR, l'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, posto alle dipendenze del Ministero che mi è stato affidatoche ha la funzione di garantire l'effettività del principio di parità di trattamento fra chi vive e lavora in Italia, e di vigilare contro le discriminazioni,ha di recente evidenziato con una relazione al Parlamento, l'aumento delle segnalazioni di comportamenti di intolleranza, di xenofobia, di razzismo, in particolare nelle grandi periferie urbane, nonché l'aumento di testi a stampa o diffusi via internet contenenti commenti discriminatori e razzisti. Sui mezzi di comunicazione di massa si è concentrata pure l'analisidell'ECRI (Ufficio della Commissione europea contro il razzismo e l'intolleranza). "Gli immigrati" - cito - "sono presentati come una causa di insicurezza […]. Servizi e titoli sensazionali continuano ad apparire neimediae numerosi siti internet contengono messaggi di odio razziale e perfino di istigazione alla violenza razziale". Vorrei soffermarmi su quest'ultimo punto, che rimanda a scelte editoriali molto discutibili. Le parole sono potenti. Possono far male. Non è indifferente il modo con cui lanciamo i nostri messaggi, né la direzione verso cui li indirizziamo.A tutti è richiesto il ripudio non solo della violenza ma anche di un linguaggio violento contro altri gruppi etnici o religiosi. Le parole possono essere armi e preparare la via alla violenza. Spero che questa Giornata sia di monito a tutti, per un esercizio di maggiore responsabilità."Persistono nella società italiana" - continua il Rapporto ECRI - "i pregiudizi contro i musulmani e l'antisemitismo. […] Persistono […] i pregiudizi contro gli stranieri e i lavoratori migranti, che incidono negativamente sulle loro possibilità di trovare un lavoro e sul loro trattamento sul luogo di lavoro. […] Sono continuamente segnalati casi di discriminazione per l'accesso a un'abitazione del settore privato; al contempo, alcuni comuni stanno introducendo regole più severe per l'assegnazione degli alloggi popolari del settore pubblico, il cui impatto è spesso più negativo per coloro che non hanno la cittadinanza italiana. […] Si respira un clima generale fortemente negativo rispetto ai Rom: […] la pratica dominante è ancora quella di relegare i Rom in aree lontane dai centri urbani, il che equivale a una segregazione". Vorrei ricordare a questo proposito il recente varo da parte del Ministero che dirigo e di altri Ministeri, di una Strategia nazionale d'inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Camminanti e del tavolo Rom: iniziative che segnano la volontà di un'inversione di tendenza. Oggi ripetiamo che siamo convinti che si possa vivere insieme: vivere insieme è una costruzione che dipende da noi, a cui tutti dobbiamo cooperare. C'è una responsabilità dell'azione di governo e delle forze politiche. Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella Costituzione Italiana e nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. L'azione di governo è chiamata a salvaguardare e a riaffermare tali acquisizioni, così come ad impedire e a sanzionare, a garantire e a tutelare, dando vita a una rete di riferimento non soltanto normativa ma anche propositiva. Ogni manifestazione di disprezzo, di discriminazione, di razzismo, deve essere isolata ed infine eliminata affinché sui affermino le energie di indignazione e di solidarietà che sono largamente presenti nel profondo della società italiana. C'è infatti una responsabilità dell'intero corpo sociale. Una società che ceda allo spaesamento, si faccia vincere dal vittimismo e dal risentimento, sarebbe una società meno libera, meno democratica e senza prospettive. A tutti, dunque, il compito di contribuire alla cancellazione di ogni tipo di discriminazioni, alla costruzione di un'Italia in cui il razzismo non abbia cittadinanza. Non è, questo, un sogno utopistico. La presenza oggi dei maggiori dirigenti sindacali me lo fa sperare. La presenza di tanti che impreziosiscono con la loro presenza e il loro contributo umano e civile, la vita del nostro Paese, ci offre l'immagine di un possibile e proficuo convivere fra diversi ma uguali. Credo che si debba stipulare un patto tra istituzioni e società che sia il segno di un'opposizione al razzismo, alla xenofobia, all'antisemitismo, all'antigitanismo, alle discriminazioni di genere. Un patto d'intenti, un patto d'azione. Questo nostro riunirci, istituzioni e società civile, stranieri e Italiani, nel quadro di un insieme di manifestazioni nazionali celebrative e pensose (la testimonianza di Ndeye Rokhaya Mbengue, vedova di Moudo Samb ucciso a Firenze lo scorso dicembre, ci colpisce), quanto fantasiose - come la "catena umana" nazionale per dire 'No' a tutti i razzismi che circonderà i luoghi simbolo della cultura italiana - questo nostro riunirci insieme è figura di un vasto rigetto della follia del razzismo. Il Governo sente la responsabilità di accompagnare tale processo di crescita culturale e civile del Paese. Lo stesso aumento delle segnalazioni che giungono all'UNAR dimostra che cresce nella società la cultura del rifiuto delle discriminazioni e il coraggio, di denunciare. Ed è un fatto di grande rilevanza. Faccio un altro esempio. La Calabria ha affrontato a Rosarno una gravissima emergenza legata all'immigrazione, con un portato di xenofobia violenta degenerato in una vera e propria "caccia allo straniero". Ebbene, a gennaio scorso sono stato a Rosarno e ho avuto modo di vedere, due anni dopo, come la situazione sia cambiata, grazie a porzioni di società che hanno fatto un grande lavoro di integrazione, e grazie ad un'eccellente amministrazione comunale. Lo stesso si può dire di San Salvario a Torino. Si tratta di esempi concreti del fatto che è possibile vivere insieme. In questo percorso siamo tutti responsabili come l'ho detto a Castel Volturno agli stranieri: non sono il Ministro solo degli stranieri ma anche degli italiani, tutti dobbiamo fare uno sforzo. E' possibile una sinergia istituzioni-società civile. Il nodo è tutto qui. Convivere con l'Altro, con il diverso da me. C'è un libro di Daniela de Robert, una giornalista che si occupa di marginalità, dal titolo significativo: "Sembrano proprio come noi". Il problema del nostro tempo è come vivere insieme tra diversi. Un vivere insieme che è sempre difficile e che è dunque un'arte da coltivare. E' la grande alternativa alla disintegrazione della società. Un "vivere con" che vuol dire pazienza, impegno, capacità di comprensione, grande alternativa al "vivere senza" anima di tutti i razzismi. La verità è che noi non possiamo vivere senza gli altri. Lo sanno bene le famiglie italiane dove sono inserite le badanti per la cura dei componenti più deboli. Lo sanno gli imprenditori e gli artigiani italiani che portano avanti le loro attività in un tempo difficile anche grazie ai lavoratori stranieri. Vivere con l'Altro può non essere facile. Ma è possibile. Si tratta di parlare, di incontrare, di stare insieme, di vivere. Si tratta di guardarsi in faccia andando oltre i luoghi comuni. Scopriremo allora che siamo tutti diversi ma uniti da connessioni, di ogni tipo: "Tutti parenti, tutti differenti" diceva Germaine Tillon, una grande figura di etnologa francese, deportata inlager. E qui vorrei approfittare della presenza di Amara Lakhous, di cui ho ascoltato con interesse le parole, per prendere a prestito il suo mondo immaginario, il mondo condominiale che descrive in "Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio". Quel mondo è un microcosmo che rappresenta bene tutto il nostro Paese. L'Italia è variegata, irriducibile a un solo modello, a un solo tipo umano, popolata dai mille tipi umani di cui abbiamo qualche esempio nel romanzo. Questa è l'Italia: un intreccio particolare di umanità, operosità, di spirito comune. La flessibilità del nostro carattere nazionale talvolta può indurre a pensare che sia un paese debole. Ma non è così. Forse anche questo contribuisce alla fatica del convivere. So bene che non tutto è così facile. Ma sono anche convinto che nel grande "condominio Italia" possiamo incontrarci di più. Anzi penso che questo già succede. Il rabbino capo del Commonwealth, Jonathan Sacks, immagina il processo di integrazione - dopo il fallimento del multiculturalismo - come una "casa da costruire insieme". Ecco, c'è un condominio da tirare su insieme. Istituzioni e società, politica e cittadini. C'è un futuro, da costruire insieme. Tale ritengo debba essere l'itinerario del tempo che viene. Come un impegno cui questa giornata chiama tutti. Nel quadro di un patto tra istituzioni e società: per questo l' "integrazione" è nel programma del Governo. Lavorare per l'integrazione oggi è un gesto di fiducia nel futuro dell'Italia: fiducia in un modello italiano innestato nella ricca storia nazionale. Un patto che veda in prima fila i giovani: lo dico come Ministro con delega per la Gioventù. I giovani non meritano di crescere come figli di una cultura del disprezzo e della chiusura proprio quando paradossalmente il mondo è globalizzato! I giovani incarnano grandi potenzialità di incontro: a noi il compito di fare tutto il possibile perché essi diano forza e continuità a quel patto di cui parlavo prima. Investire sui giovani, scommettere sulla loro voglia di incontro, significa lavorare per il domani. Vorrei aggiungere: investire sulle donne: esse sono al cuore del progetto di integrazione, soprattutto delle comunità straniere ma di tutte in generale. Attorno alla loro energia si coagula l'intera società. Sappiamo quanto sia importante la crescita economica, ce lo diciamo ogni giorno. Ma è necessaria anche una crescita culturale, di competenze, di capacità di leggere ed interpretare il mondo. Infatti cultura e prosperità sono legate tra loro. Nel nostro mondo globale una cultura aperta all'Altro sarà sempre più occasione di scambio e di ricchezza. Assenza di paura dell'altro apre sempre a nuove opportunità. Non sarà certo da un piccolo universo chiuso che verrà la risposta ai nostri problemi ma da un aprirsi a quella convivenza globale che è la cifra del nostro tempo. Il patto che auspichiamo in questa Giornata sarà il pegno migliore per compiere un balzo in avanti, per muoversi in un mondo che cerca attori capaci di quell'arte dell'incontro che è il superamento di ogni razzismo, potenziale o reale, che è l'affermazione del grande genio della nostra unica razza, della razza umana.
    Fonte: Ministero per la Cooperazione internazionale e l'Integrazione, convivenza, cultura | vai alla pagina
    Argomenti: razzismo, antisemitismo, /argomento/3242, antigitanismo | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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