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Dichiarazione di Maurizio SAIA

Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: CN) 


 

659a SEDUTA PUBBLICA allegato B

  • (18 gennaio 2012) - fonte: www.senato.it - inserita il 08 febbraio 2012 da 18670
    Signora Presidente, intervengo nella discussione generale su questo argomento perché da sempre, nel mio trentennale tentativo di rappresentare i cittadini, mi sono occupato e preoccupato spesso e volentieri di sicurezza, purtroppo, e della sicurezza dei miei concittadini. Stavolta i cittadini più interessati sono anche quelli che per i più svariati motivi hanno sbagliato e si trovano a dover accedere alle patrie galere. Ecco dunque un provvedimento che cerca ed in parte dovrebbe riuscire a migliorare le condizioni delle carceri, non solo per migliorare le condizioni dei detenuti - che pure non è il destino ad averli condotti lì - ma soprattutto per il lavoro di centinaia e migliaia di poliziotti di ogni tipo che quotidianamente si confrontano e spesso devono scontrarsi con le nefandezze di un sistema che intacca pesantemente il loro diritto ad un lavoro sicuro e sereno. Mi voglio soffermare quindi sull'analisi dei punti di maggiore criticità di questo provvedimento, che in alcuni interventi precedenti sono stati già citati. Alcuni di questi punti sono davvero importanti, come mi è stato segnalato da moltissimi appartenenti a tutti i livelli delle Forze dell'ordine. Sono anch'io d'accordo, come penso un po' tutti, che non sia il caso di trattenere, in carcere o in una camera di sicurezza, persone, spesso incensurate, di cui non appena si svolge l'udienza di convalida, il magistrato nella maggior parte dei casi dispone la scarcerazione: le famose "porte girevoli". Attualmente il sistema prevede che queste persone arrestate siano condotte nella casa circondariale di riferimento. Questo sistema una sua ratio ce l'aveva, sicuramente e maggiormente, quando è stato concepito, in una situazione dove il sovraffollamento carcerario non era ai livelli drammatici ora rappresentati. Ed infatti sarebbe tuttora la soluzione migliore, poiché nasce dal fatto che vengono riconosciute le peculiarità e le diverse funzioni che hanno i corpi e i reparti delle forze dell'ordine. Sembra ovvia questa considerazione ma, anche a giudicare alcune disposizioni di questo decreto, verrebbe da dire che tanto ovvia poi non è. Vorrei cominciare dall'utilizzo delle celle di sicurezza: la madre di tutti i problemi di questo decreto. Le celle di sicurezza sono state pensate per custodire i detenuti, al massimo per qualche ora: infatti, oltre ad essere anguste come spazio calpestabile, non hanno alcuna dotazione (soprattutto non hanno i bagni), e quindi mancano le condizioni igenico-sanitarie perché delle persone possano esservi trattenute anche solo dalla mattina alla sera: figurarsi poi per un periodo magari superiore! Ci troviamo oramai con forze dell'ordine trasformate in factotum, che cominciano con l'andare in strada, fermare chi commette un reato, arrestarlo, portarlo nei loro uffici, predisporre tutte le carte della detenzione e poi sorvegliarlo, procurargli da mangiare, da bere e tutto il necessario per lavarsi ed espletare altri bisogni, persino procurargli i pannolini, com'è già successo. Ci manca che debbano fargli anche la visita medica, se non per la sicurezza sanitaria del detenuto, almeno per quella degli agenti che lo hanno in custodia per giorni. Oggi a malapena sono utilizzabili gli uffici dove lavorano gli agenti. Nella questura di Padova, la mia città, giusto con i soldi recuperati lo scorso anno dalla «legge mancia», sono state sistemate le celle di sicurezza e gli allora poco dignitosi e salubri uffici della squadra mobile. Ma quante questure e commissariati sono messi decisamente peggio? Inoltre, il trattenimento in cella di sicurezza obbliga necessariamente ad utilizzare almeno un agente delle forze di polizia ogni sei ore, per controllare chi vi è trattenuto, e poi almeno un altro per redigere i verbali. Questo comporta la riduzione come minimo di una pattuglia su tutti i turni, pattuglia che viene tolta dalla strada e dalla sua indispensabile funzione di controllo del territorio. Se questo già non è di sicuro apprezzabile nelle città grandi, dove però operano più pattuglie - oltre a pattuglie miste con la presenza di militari - nei piccoli paesi, in caso di arresto il sabato mattina, fino al lunedì seguente non ci sarebbe alcun servizio in strada. Certo, il decreto dispone che il pubblico ministero di turno, in caso di particolari esigenze del territorio o del fermato, possa autorizzarne il trasferimento in carcere o al domicilio, ma se la prima soluzione vanifica quella che è la ragion d'essere di questo provvedimento, la seconda può essere attuata solo in presenza di condizioni idonee, che garantiscano la sicurezza della comunità e del fermato, che non è certo facile valutare su due piedi immediatamente dopo il fermo. Pur tuttavia, affermo con decisione che tra il trattenimento in carcere e quello in camera di sicurezza, il primo è comunque accettabile, il secondo certamente no per le strutture, come già detto, e anche per i servizi che una questura, un commissariato o una caserma non hanno. Oltre al servizio della ristorazione - che appare ovviamente necessario garantire a chiunque - in pochi ho sentito intervenire per rappresentare a grandi linee cosa avviene in un carcere quando entra un ristretto: questi viene sottoposto a visita medica e a valutazione psicologica, perché il fermo rappresenta, soprattutto per chi mai in precedenza vi è stato sottoposto, un trauma psicologico molto forte, che spesso porta ad atti di autolesionismo o a comportamenti non consoni ad una struttura, per quanto forzatamente, comunitaria. La Polizia penitenziaria ha la preparazione - la formazione, per inciso, è il più importante di tutti gli investimenti in materia di sicurezza - e la struttura organizzativa per gestire i detenuti e non viene sottratta ad altri compiti che invece le altre Polizie hanno. Poliziotti dello Stato e locali, carabinieri, finanzieri e forestali, per gestire una reclusione - cosa che a tutti gli effetti è anche quella in attesa di convalida - questa formazione non la ricevono. Consentitemi di aprire qui un inciso per ricordare a quest'Aula l'abnegazione al dovere che ha spinto l'agente Niccolò Savarino di Milano ad anteporre il dovere di controllo e la garanzia di sicurezza della comunità alla propria incolumità, financo a lasciare la propria vita sull'asfalto di una strada che era stato mandato a vigilare: lui, agente di questo Stato, in servizio in bicicletta, e il giovane rom, che lo ha volontariamente investito, comodamente seduto in un Suv da qualche decine di migliaia di euro. Quest'Aula non ha ritenuto di ricordare tuttavia questo sacrificio. Anche le esigenze della Polizia penitenziaria continuano a non essere da meno: giustamente gli appartenenti lamentano, non solo la spesso non consona limitazione della libertà personale per pochi giorni, che grava psicologicamente sul fermato e porta un aggravio ancora maggiore sull'eccessivo numero di detenuti che si registra praticamente in tutte le carceri italiane, ma soprattutto le difficoltà cui sono soggetti per espletare tutte le procedure atte a garantire sicurezza al fermato e ai detenuti, oltre che agli stessi dipendenti del carcere. L'evasione di due detenuti dal carcere di «Regina Coeli» qualche giorno fa e l'aggressione di un agente nel carcere di Saluzzo sono le ultime di una lunga serie e l'ennesima dimostrazione, ove mai ce ne fosse bisogno, della gravissima situazione di difficoltà che vivono gli agenti della Polizia penitenziaria, a causa delle emergenze che assillano il settore, emergenze che richiedono interventi sostanziali, determinanti, radicali e concreti. Puntare solo su soluzioni tampone, come il fittizio alleggerimento del lavoro della Polizia penitenziaria che deriverebbe dal trattenere gli arrestati presso le camere di sicurezza delle forze dell'ordine, senza proporre parallelamente un itinerario a medio termine che porti a soluzioni strutturali definitive, significherebbe stabilire un quadro di emergenza definitivo nell'area delle non soluzioni. Le soluzioni strutturali e vere stanno altrove. Servono più uomini, mezzi e strutture moderne per fronteggiare l'emergenza carceri. Servono investimenti e razionalizzazioni nell'intero comparto, i cui operatori non possono e non devono essere distratti dai propri rispettivi compiti istituzionali. Servono soluzioni che consentano al sistema Paese di garantire ai propri cittadini sicurezza, legalità e rispetto dei diritti umani. Ministro - mi rivolgo a lei, sebbene non sia in questo momento presente in Aula - questi aspetti li ho sempre ribaditi, sia come maggioranza che come opposizione. Altre soluzioni ce le insegnano poi altri Paesi, soprattutto in Europa dove si dispone anzitutto che ci debba essere sempre di turno un magistrato per effettuare i processi per direttissima, oppure dove si delegano gli agenti stessi alla convalida o meno del fermo. In altri Paesi, appartenenti alle forze dell'ordine sono persino competenti in materia di indagine e sorveglianza e poi agiscono come giudici su limitate fattispecie di reati. In ogni caso, una delle principali soluzioni è di sicuro quella di potenziare il sistema di controllo dei detenuti domiciliari, individuandolo come primo livello fra le soluzioni per espiare una pena e garantire sicurezza alla società civile: controllo che deve essere attuato con sistemi moderni, avvalendosi dell'uso delle tecnologie, senza per l'appunto destinare uomini e mezzi deputati al controllo delle città per la vigilanza di quanti sono sottoposti alla misura di detenzione domiciliare. E poi - questo lo dico al Ministro dell'interno, che ovviamente non è presente in questo momento e che abbiamo avuto il piacere di vedere una sola volta in 1a Commissione, da quando si è insediato l'attuale Governo, un mese e mezzo fa, e che non avremo il piacere di rivedere in quella sede prima del 21 febbraio - giova al riguardo sottolineare che le disposizioni inviate alle questure su detta questione contengono degli ordini di difficile comprensione e attuazione, laddove - ad esempio - viene consigliato al personale di origliare alla porta con lo scopo di intercettare eventuali rumori sospetti (certo, nella maggior parte dei casi mancano le telecamere per prevenire atti di autolesionismo), e vengono date altre indicazioni ancora a titolo esemplificativo, che per motivi di tempo non leggo, ma che chiedo di poter consegnare agli atti. Queste e tante altre perplessità ci impongono più attenzione e più attente risposte. Da ultimo, ma non per questo di minor importanza: assumiamo pure più poliziotti, come ha affermato il ministro Severino, ma facciamolo per potenziare il presidio del territorio, fatto utile perché le carceri o le stesse camere di sicurezza non si riempiano. Poliziotti e Carabinieri non sono addestrati per sorvegliare i detenuti, lavoro di cui egregiamente già si occupa la Polizia penitenziaria. Poliziotti e Carabinieri devono essere messi nelle condizioni, con risorse e mezzi, di assicurare legalità e sicurezza anche attraverso politiche di prevenzione, cosa che, a causa dei continui tagli, è diventata impossibile. (Applausi dal Gruppo CN-Io Sud-FS).
    Fonte: www.senato.it | vai alla pagina
    Argomenti: sicurezza, carceri, Polizia Penitenziaria, Maurizio Saia, Coesione Nazionale Grande Sud SI PID IB | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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