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Dichiarazione di Franco Frattini

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FI)  -  Ministro  Affari Esteri (Partito: PdL) 


 

«Male il silenzio della Ashton: Doveva far sentire la voce della Ue» - INTERVISTA

  • (05 gennaio 2010) - fonte: Il Messaggero - inserita il 06 gennaio 2010 da 31

    Due paesi europei chiudono le ambasciate a Sana’a in ordine sparso, senza consultarsi con gli altri 25. Sorprendente. E curioso che Franco Frattini telefoni ai suoi colleghi arabi sentendosi dire: «Sei il primo che ci chiama». Il ministro degli Esteri ha appena dato una scossa a Bruxelles e racconta cosa sta accadendo nella sonnolenta Europa. «I fatti delle ultime ore dimostrano che nello Yemen si gioca per l’Europa il primo test di credibilità, dopo l’approvazione del Trattato di Lisbona, su una delle sfide più delicate, il terrorismo».

    Che non riguarda certo solo gli Usa.

    «E’ evidente che gli obiettivi dei terroristi includono certamente l’Europa. La nostra sicurezza è in gioco, non solo quella degli americani».

    L’ambasciata britannica a Sana’a è stata chiusa, poi quella francese...

    «Il primo messaggio politico è imporre un coordinamento europeo immediato. Queste non sono decisioni che un paese Ue può prendere senza consultarsi, se non altro perché se si chiudono un certo numero di ambasciate europee, quelle che restano aperte sono ovviamente più esposte. Ho assunto l’iniziativa di chiedere un’immediata riunione sul tema, ho parlato con la signora Ashton che ha condiviso la richiesta: ci vedremo venerdì 8 gennaio a Bruxelles, il Comitato operativo di sicurezza discuterà le decisioni da prendere».

    Ma i francesi si sono accorti che la Ue ha un ministro degli Esteri comune?

    «Sono decisioni che vanno ricondotte allo spirito del Trattato di Lisbona. C’è un nuovo ministro degli Esteri che non ha ancora convocato alcuna riunione e che, a mio avviso, avrebbe potuto portare la questione all’attenzione di tutti. La decisione francese è stata presa sulla base di elementi che non conosco: se vi era una minaccia di attentato all’ambasciata, questo avrebbe giustificato la chiusura».

    L’ambasciata italiana resta aperta?

    «Sì, continuerà a operare in una cornice di sicurezza. Abbiamo chiesto un rafforzamento delle misure di sicurezza esterne e ho dato disposizioni per interventi di ristrutturazione interni».

    L’azione diplomatica finisce qui?

    «Ho ritenuto di consultare anche i partner arabi, sentendo due delle persone che hanno il maggior peso se si parla di Yemen: il capo della Lega araba, Moussa, e il principe Al Faisal, ministro degli Esteri saudita. Entrambi condividono la mia visione sulla necessità che l’Europa entri in azione e siamo d’accordo che per lo Yemen non occorre una soluzione che affronti solo il tema terrorismo ma anche il problema di come prevenire che vi si stabiliscano gruppi terroristici. Serve una riconciliazione nazionale interna allo Yemen, dove operano gruppi estremisti al Nord anti sauditi e autonomisti al Sud. L’Europa può avere un ruolo ma bisogna garantire la leadership araba».

    Cosa fare?

    «Tre cose: far sentire il sostegno della comunità internazionale al governo yemenita. Giusto è stato invitare lo Yemen alla conferenza di Londra del 28 gennaio».

    Avete pensato già a qualche proposta?

    «Proporremo di costituire un “gruppo di amici dello Yemen”, come abbiamo fatto per Pakistan e Afghanistan. Paesi che hanno bisogno di sostegno politico ed economico. Gli Stati Uniti già contribuiscono generosamente, e anche l’Italia è pronta a ulteriori contributi. Già sosteniamo la fornitura di rete satellitare per il controllo antipirateria».

    La seconda cosa?

    «Serve uno stretto concerto con gli Usa. Il 25, tre giorni prima di Londra, avrò un bilaterale con la signora Clinton a Washington. Credo dovremo fare un appello a tutti i paesi democratici del mondo di collaborare contro il terrorismo. Bisogna ridare vita in Europa a quel piano europeo antiterrorismo che fu varato dopo le bombe di Londra: lo promossi quando ero commissario europeo nel 2005 e purtroppo è finito in un cassetto. I terroristi hanno scoperto nuove strade, nuovi esplosivi più sofisticati che sfuggono ai metal detector, bisogna prendere contromisure».

    E poi ci sono gli arabi.

    «Un raccordo forte col mondo arabo è un’assoluta necessità. La Lega araba è estremamente preoccupata. Quando scopriamo che un gruppo che si riferisce ad al Qaeda rivendica il sequestro dei nostri concittadini in Mauritania, ecco la linea del terrore: va dal deserto del Mali, passa per il corno d’Africa attraversa il mare e arriva allo Yemen».

    I problemi della sicurezza sono in primo piano. Basta guardare il caos negli aeroporti.

    «Bisogna riprendere gli scambi e il coordinamento tra intelligence sui passeggeri del traffico aereo, salvaguardando il diritto alla privacy. Nel 2005 approvammo la conservazione dei dati del traffico telefonico nello spazio Ue per due anni. Non delle conversazioni, ma l’elenco delle chiamate, momento e luogo. Fu grazie a questo che venne arrestato a Roma uno degli attentatori fuggito da Londra».

    Fonte: Il Messaggero | vai alla pagina

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