Unione europea, discorsi d’odio e riforma del sistema di Dublino Hate speech

L’euro scetticismo, le istanze nazionaliste e il rifiuto di politiche migratorie inclusive sono spesso andate di pari passo in questi anni, sfociando non di rado in discorsi d’odio sia in chiave xenofoba che antieuropea. Anche per questo è cruciale riformare il regolamento di Dublino.

|

Partner

Negli scorsi mesi in sede europea si è tornati a parlare di riforma del sistema di Dublino, il regolamento che stabilisce i criteri e i meccanismi per determinare quale stato membro è competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale. Il tema in effetti si ripropone ogni volta che, per ragioni diverse, si verifica un aumento dei flussi migratori. L’incapacità dell’Unione europea di gestire in modo efficace questo fenomeno peraltro ha un doppio effetto. Da un lato, non affrontando il problema, continuano a svilupparsi sentimenti politici che troppo spesso degenerano in atteggiamenti di stampo xenofobo. Dall’altro si riduce la fiducia nelle istituzioni europee, incapaci di trovare risposte concrete.

Già nella scorsa legislatura c’era stato il tentativo di modificare questo regolamento, che tuttavia si era scontrato con l’opposizione di vari partiti di destra e nazionalisti europei oltre che dei governi dell’Europa orientale.

Ora però, il precipitare della situazione in Afghanistan ha riportato il tema dell’accoglienza migranti all’ordine del giorno. Infatti se per molti accogliere quantomeno le persone che hanno collaborato con le forze armate dei paesi europei appare un dovere morale irrinunciabile, altri si sono opposti fermamente anche a questa ipotesi. Nel frattempo in vari paesi europei si continuano ad erigere muri alle frontiere contrastando qualsiasi ipotesi di accoglienza.

Oggi come ieri inoltre le istanze politiche che rifiutano una società aperta e accogliente sono di frequente accompagnate da un sentimento fortemente antieuropeo, che tende a proiettare sull’Unione tutti i problemi reali o presunti che si trova ad affrontare il nostro paese.

Visioni politiche e interessi nazionali

Sono molti anni che l’Unione europea cerca di riformare senza successo il sistema attraverso cui viene stabilito in quale paese membro ciascun richiedente asilo debba inoltrare la propria domanda di protezione internazionale. Purtroppo però la questione si presta a duri contrasti politici, sia tra partiti di diverso orientamento sia tra stati membri.

I paesi con frontiere esterne rivolte verso il Mediterraneo hanno infatti esigenze e interessi molto diversi dagli altri stati membri, che invece si sentono maggiormente tutelati dal sistema attualmente in vigore, per quanto inefficiente.

Dublin Regulation on international protection applications

Every single migrant poses a public security and terror risk.
For us migration is not a solution but a problem … not medicine but a poison, we don’t need it and won’t swallow it.

Nella politica interna dei singoli paesi poi il tema dell’immigrazione è stato ampiamente cavalcato dai partiti di destra che in questi anni sono stati in grado di costruire su questo importanti bacini di consenso. Di conseguenza, forse per contenere questa crescita politica, anche alcuni esponenti di forze di sinistra hanno assunto posizioni di chiusura.

It pains me to say that Sweden can no longer take in asylum-seekers at the same high level… Sweden needs some breathing room.

Dunque, anche a causa di queste conflittualità, nella scorsa legislatura europea non si è riusciti a riformare gli accordi di Dublino. Pur essendo arrivati piuttosto vicini al risultato.

Un tema cruciale per l’Europa

Eppure si tratta di un tema cruciale per l’Unione. L’incapacità di gestire il fenomeno a livello europeo infatti la espone a pesanti critiche da tutti i lati, rafforzando le spinte protezioniste di stampo nazionale. Non a caso i partiti nazionalisti europei, che in questi anni hanno beneficiato elettoralmente di un sistema di accoglienza non governato a livello Ue, hanno spesso mostrato disinteresse nel cambiamento dello status quo.

 

 

Posizioni politiche contrarie all’accoglienza dei migranti e atteggiamenti antieuropei viaggiano spesso di pari passo.

La crescita di sentimenti di odio e discriminazione verso lo straniero poi tende ad affiancarsi all’insofferenza verso decisioni politiche che sono percepite come imposte dall’estero. L’odio verso i migranti dunque si associa a quello verso l’Unione europea e le sue istituzioni viste come responsabili della situazione ma al contempo incapaci di trovare soluzioni. Poco importa se l’Unione non ha le competenze per intervenire e se sono proprio gli stati nazionali e i partiti di destra a bloccare il necessario processo di rinnovamento.

La conseguenza può rappresentare un rischio ancora più concreto per l’Europa. Quello che la crescente insoddisfazione verso il suo operato produca spinte centrifughe che portino alcuni paesi a uscire dall’Unione, come è successo con il Regno Unito.

Certo questo genere di spinte erano più forti tra il 2016 e il 2018 di quanto non lo siano adesso, almeno in Italia. E questo soprattutto grazie al Next generation Eu che ha fatto percepire le istituzioni europee come delle strutture in grado di fornire un contributo concreto.

Il tema dell’immigrazione tuttavia non è destinato a scomparire ed è ormai tempo che l’Unione si doti degli strumenti legali e burocratici necessari per gestirlo in maniera diretta se non vuole ritrovarsi prima o dopo ad affrontare una nuova crisi di fiducia nei confronti delle sue istituzioni.

Cosa prevede il sistema di Dublino

Il regolamento Ue 604/2013, più noto come regolamento di Dublino o Dublino III prende il nome dalla Convenzione di Dublino, un trattato internazionale con cui nel 1990 venne per la prima volta disciplinata la materia.

Con l’approvazione dei nuovi trattati europei il tema è diventato almeno in parte competenza dell’Unione. La prima revisione della normativa è stata dunque attuata attraverso l’approvazione di un regolamento nel 2003 (Dublino II), poi rivisto nel 2013 (Dublino III).

I criteri previsti da questo testo per determinare quale stato membro sia competente ad esaminare la domanda di asilo sono sostanzialmente 3 e seguono un ordine gerarchico prevedendo che la responsabilità ricada:

  • sullo stato membro dove possa realizzarsi il ricongiungimento familiare (artt. 8-11);
  • sullo stato membro che ha concesso al richiedente asilo un visto o un altro titolo di soggiorno valido (art. 12);
  • sullo stato membro in cui il richiedente asilo è entrato varcando le frontiere in modo irregolare (art. 13).

Questi criteri, oltre ad essere percepiti come ingiusti in particolare dai paesi con frontiere esterne, hanno mostrato forti limiti. La loro applicazione infatti risulta del tutto inefficiente. Il tasso di trasferimenti legati ai criteri di Dublino rispetto alle richieste ad esempio è estremamente basso. infatti, anche i paesi che hanno maggior successo riescono solo in rare eccezioni ha portare a conclusione più del 50% delle procedure iniziate.

2 i paesi membri che nel 2019 hanno portato a compimento più del 50% delle procedure di trasferimento Dublino che hanno iniziato.

FONTE: Aida - Asylum information database
(ultimo aggiornamento: giovedì 26 Agosto 2021)

A questo poi si aggiunge il fatto che i criteri di Dublino non permettono un'equa distribuzione dei richiedenti asilo tra gli stati membri. Inoltre, dal punto di vista dei richiedenti, è stato osservato come la normativa ad oggi in vigore violi i diritti umani non permettendogli neanche di esprimere una preferenza sullo stato in cui inoltrare la domanda.

Diritto, Immigrazione e Cittadinanza. 1/2018

In conclusione dunque, al di là dei vari criteri, è quasi sempre lo stato di primo ingresso a occuparsi di esaminare la richiesta di asilo. Una situazione da molti ritenuta iniqua e insostenibile. Infatti proprio nel 2014 il numero dei flussi migratori era significativamente aumentato evidenziando tutti i limiti del sistema appena adottato. Dunque solo due anni dopo l'entrata in vigore di Dublino III, la commissione ha presentato un nuovo testo.

Il fallito tentativo di riforma

Nel 2016 quindi la commissione ha presentato una proposta legislativa per riformare il sistema di Dublino, dopodiché è iniziata la discussione in seno al parlamento europeo, in particolare presso la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Libe).

Quest’ultima ha quindi approvato il testo in prima lettura a ottobre 2017, confermato poi da una successiva deliberazione in plenaria con 390 voti a favore, 175 contrari e 44 astenuti.

FONTE: elaborazione openpolis su dati del parlamento europeo (A8-0345/2017)
(ultimo aggiornamento: martedì 24 Agosto 2021)

Nonostante questo importante risultato però il testo è stato affossato nel passaggio successivo. Dopo il voto del parlamento infatti è iniziato l'esame in sede di consiglio, l'organo legislativo di rappresentanza degli stati membri.

Proprio a causa della sua natura in sede di consiglio si esprimono le posizioni dei governi nazionali e i rapporti di forza tra gli stati membri. Si tenga presente peraltro che proprio a dicembre 2017 la commissione europea portò di fronte alla corte di giustizia dell'unione europea Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia per non aver adempiuto ai propri obblighi in materia di ricollocamento.

Poi nei mesi successivi l'Ungheria si è espressa pubblicamente per una profonda revisione del testo approvato dal parlamento, rifiutando ogni meccanismo obbligatorio di ricollocamento e spingendo verso un approccio che puntava sulla sicurezza e i rimpatri. Anche se il consiglio non ha mai espresso un voto esplicitamente negativo nei confronti della proposta, il testo è rimasto in attesa finché nel 2019 le elezioni per il rinnovo del parlamento e la formazione di una nuova commissione non hanno reso la proposta di revisione obsoleta.

I gruppi parlamentari e le posizioni sulla riforma di Dublino

Se da un lato il voto del parlamento non ha portato a risultati concreti ed esiste ormai una nuova proposta della commissione che dovrà passare al vaglio dei deputati europei, dall'altro analizzare com'è andato il voto in aula nel 2017 offre interessanti spunti di analisi.

Guardando ad esempio a come hanno votato i gruppi presenti al parlamento europeo notiamo subito che solo i verdi (Verts/Ale) e il gruppo Europa della libertà e della democrazia diretta (Efdd - che vedeva tra i suoi iscritti i parlamentari pentastellati) hanno votato in modo compatto, il primo a favore della riforma, il secondo contro.

Sia i socialisti (S&D) che il gruppo della sinistra al parlamento europeo (Gue/Ngl) hanno votato in larga maggioranza a favore del provvedimento, se pur con qualche defezione dovuta perlopiù a deputati provenienti da paesi dell'Europa orientale.

Gue/Ngl: gruppo della sinistra al parlamento europeo;
S&D: alleanza progressista dei socialisti e dei democratici;
Verts/Ale: gruppo verde/alleanza libera europea;
Alde: gruppo dell’alleanza dei democratici e dei liberali per l’Europa;
Ppe: partito popolare europeo;
Ecr: conservatori e riformisti europei;
Efdd: Europa della libertà e della democrazia diretta;
Enf: Europa delle nazioni e della libertà;
Ni: non iscritti.

FONTE: elaborazione openpolis su dati del parlamento europeo (A8-0345/2017)
(ultimo aggiornamento: martedì 24 Agosto 2021)

I gruppi più conservatori o nazionalisti invece hanno in larga parte votato contro la proposta anche loro con alcune posizioni divergenti. In generale il Partito popolare europeo (Ppe) si è mostrato il più diviso sulla questione. Infatti i partiti popolari dell'Europa dell'est, tra cui tra l'altro quello del primo ministro ungherese Viktor Orbán, hanno in gran parte votato contro o si sono astenuti. Questo peraltro è uno dei temi chiave su cui si sono scontrati negli ultimi anni Fidesz, il partito di Orbán, e i vertici del Ppe. Uno scontro che lo scorso marzo ha portato il partito del presidente del consiglio ungherese ad uscire dal gruppo popolare al parlamento europeo.

La riforma di Dublino e l'appartenenza nazionale dei parlamentari

D'altronde che i parlamentari di alcuni paesi fossero più ostili di altri alla revisione delle regole di Dublino emerge chiaramente osservando come hanno votato i deputati di ciascun paese membro.

I parlamentari che hanno compattamente votato contro la modifica del regolamento provengono tutti da paesi dell'Europa orientale. Si tratta in particolare di Slovacchia (100% di voti contrari) e Repubblica Ceca (17 contrari e un astenuto), ma anche di Ungheria, Polonia e Lettonia. Anche Regno Unito e Danimarca hanno votato in maggioranza contro la proposta ma in maniera non così schiacciante.

FONTE: elaborazione openpolis su dati del parlamento europeo (A8-0345/2017)
(ultimo aggiornamento: martedì 24 Agosto 2021)

Meno compatti invece appaiono alcuni paesi che avrebbero dovuto giovarsi della revisione delle regole sul primo ingresso, ovvero quelli che affacciano sul mediterraneo. Infatti mentre Spagna, Malta e Cipro hanno votato in maniera compatta a favore del provvedimento, lo stesso non è avvenuto per i parlamentari greci e italiani.

Le posizioni dei partiti italiani

In effetti se i parlamentari italiani di sinistra e quelli di Forza Italia hanno votato a favore del testo, il Movimento 5 stelle e la Lega hanno fatto diversamente. D'altronde si tratta di due partiti che, almeno in quella fase, si proponevano come fortemente critici sia verso l'Europa, sia sul tema dell'accoglienza migranti.

Certo le motivazioni espresse dagli esponenti di queste due forze politiche per giustificare la loro scelta furono diverse. Il M5s infatti, pur partecipando al negoziato in commissione che ha portato all'elaborazione del testo, sostenne che questo non era sufficientemente ambizioso, decidendo quindi di esprimere voto contrario.

FONTE: elaborazione openpolis su dati del parlamento europeo (A8-0345/2017)
(ultimo aggiornamento: giovedì 26 Agosto 2021)

La Lega invece si è astenuta. Tuttavia mentre il M5s ha almeno partecipato ai lavori preparatori della riforma, la parlamentare di Possibile Elly Schlein ha più volte ribadito come la Lega non si sia mai presentata a nessuna delle 22 riunioni che si sono tenute per discutere l'argomento. Una posizione che lascia quantomeno il sospetto che il partito guidato da Matteo Salvini non avesse alcun interesse a lavorare per migliorare il testo della riforma. Inoltre anche se sul voto in aula la Lega si è astenuta, nella votazione finale in commissione Attilio Fontana, allora parlamentare europeo, si è espresso con un voto contrario.

I prossimi passi

Certo in questi anni molte posizioni politiche sono cambiate ed è probabile ad esempio che oggi il Movimento 5 stelle adotterebbe posizioni meno intransigenti. Anche la Lega inoltre, pur mantenendo posizioni molto critiche sul piano dell'accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati, si è recentemente avvicinata al Ppe.

Ma la partita più importante che dovrà affrontare la presidente della commissione Ursula von der Leyen per portare a compimento il suo Patto europeo su migrazione e asilo resta quella del confronto con gli stati membri e in particolare con quelli dell'Europa orientale.

Ma per quanto difficile possa essere portare a compimento questo percorso, il tema è comunque imprescindibile. Resta illusorio infatti pensare di poter affrontare un fenomeno di questa portata in un'ottica nazionale. Dunque finché l'Europa non riuscirà a definire un quadro normativo e delle procedure burocratiche efficienti, la ripartizione dei migranti tra gli stati membri rimarrà un argomento politico scottante, con effetti negativi sia rispetto alla legittimità delle istituzioni europee, sia rispetto alle pulsioni xenofobe presenti in Europa. In questi anni infatti abbiamo visto come il ritorno al protezionismo nazionalista sfoci troppo spesso in atteggiamenti di stampo xenofobo e razzista, che producono odio e intolleranza verso lo straniero, oltre che senso di lontananza e sfiducia verso le istituzioni europee.

 


Il sostegno della Commissione europea alla produzione di questa pubblicazione non costituisce un'approvazione del contenuto, che riflette esclusivamente il punto di vista degli autori, e la Commissione non può essere ritenuta responsabile per l'uso che può essere fatto delle informazioni ivi contenute.

 

Foto Credit: parlamento europeo - Licenza

PROSSIMO POST